GIOVINEZZA E RICORDO, L’AMICIZIA OLTRE LA MORTE: UN BRANO DI DOSTOEVSKIJ NEL LIBRO “UN’ESTATE INVINCIBILE”
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Basterebbe «un buon ricordo che ci rimanesse vivo nel cuore» dice l’Alesa dei Fratelli Karamazov ai suoi giovani amici, prima di lasciarli, per «riuscire utile alla nostra salvezza», redimendoci dalle viltà, dai compromessi e dai cedimenti a cui si è stati costretti, o a cui, per debolezza, ignavia e insufficienza interiore, non si è avuto la forza di opporsi. Un gruppo di ragazzi – è uno dei momenti più profondi del romanzo di Dostoevskij – si raccoglie intorno al feretro del giovane Il’jusa. Con lui questi suoi amici non sono sempre stati generosi; anzi, si sono dimostrati crudeli e cinici. Ora sono attoniti, una morsa stringe le loro anime. Vogliono dal buon Alesa, il loro giovane maestro, una parola che dia un senso a quel vuoto: «I ragazzi gli si accalcarono intorno e subito sospesero a lui, ben fermi, gli occhi pieni di attesa». Alesa non si limita a consolarli o assolverli, ma, intorno al corpo di quel ragazzo, «presso il macigno di Il’jusa», celebra un rito sacro, infondendo nei loro cuori il senso religioso dell’amicizia e della memoria:
Signori miei, noi ben presto ci separeremo. Diamoci dunque la parola che non ci scorderemo mai, prima di tutto del piccolo Il’jusa, e poi gli uni degli altri. E dovessimo anche essere assorbiti dai più importanti affari, dovessimo anche raggiungere i massimi onori o sprofondare in qualche grande sventura, non importa, non lasciamoci mai cadere di mente quanto furono belle le ore che abbiamo passato qui, tutti insieme, riuniti da un sentimento così nobile e buono… Sappiate dunque che nulla c’è di più alto, di più potente, di più fruttuoso per la vita che c’è innanzi d’un qualche buon ricordo, soprattutto se ce lo portiamo dietro dalla giovinezza… Se molti di questi ricordi, raccolti insieme, ci faranno da viatico nella vita, allora saremo salvi finché vivremo. E dato pure che un unico buon ricordo ci rimanesse vivo nel cuore, ebbene anch’esso potrebbe riuscire utile alla nostra salvezza.
Il giovane Alesa continua:
Potremo anche diventare cattivi un giorno, potremo anche non essere capaci di frenarci davanti a una cattiva azione, potremo ridere delle lacrime degli uomini e di coloro che dicono, come ha detto Kolja poco fa, «voglio soffrire per tutti gli uomini», di quegli uomini potremo anche pren¬derci beffa con cattiveria. Tuttavia, per quanto possiamo diventare cattivi – che Dio non voglia – quando ricorderemo il giorno in cui abbiamo sepolto Il’jusa, come lo abbiamo amato negli ultimi giorni della sua vita e come, in questo momento, ci siamo parlati da amici, stando tutti insieme presso questo macigno, allora anche il più cattivo fra di noi, anche il più cinico – ammesso che si sia diventati tali – non oserà, dentro di sé, ridere di quanto è stato buono e nobile in questo momento! Potrebbe accadere che proprio questo ricordo lo distolga da un grande male ed egli potrà riflettere e dire: «Sì, allora ero buono, coraggio¬so e onesto». Che rida pure di sé stesso, non fa niente, gli uomini ridono spesso di ciò che è buo¬no e onesto, ma lo fanno solo per leggerezza; vi assicuro però, signori, che nel momento stesso in cui riderà egli dirà dentro sé stesso: «No, ho fatto male, perché su queste cose non si ride!».
Riccardo Paradisi
Tratto da “Un’estate invincibile. La giovinezza nella società
degli eterni adolescenti” (Edizioni Bietti)